- Il Demiurgo e
la creazione del
mondo.
Oltre la
sostanza
psichica la
Sophia inferiore
forma il padre e
re di tutte le
cose psichiche e
materiali;
questi infatti
ha creato tutto
ciò che viene
dopo di lui,
guidato, pur
senza saperlo,
da sua madre.
Egli è chiamato
«padre» delle
realtà della
destra, ossia
quelle
psichiche,
«artefice»
(demiurgo) delle
realtà della
sinistra, cioè
quelle
materiali, e
«re» di tutte le
cose che sono
fuori del
Pleroma.
«L'Errore ha
elaborato la sua
Materia propria
nel Vuoto, senza
conoscere la
Verità. Esso si
è applicato a
modellare una
forma, cercando
di produrre in
bellezza un
sostituto della
Verità... Non
avendo alcuna
radice, esso
rimase immerso
nella nebulosità
riguardo al
Padre mentre era
occupato a
preparare Opere,
Dimenticanze e
Terrori per
attirare col
loro aiuto
quelli del Mezzo
e imprigionarli»
(E.V. 17,
15-35).
Egli crea sette
cieli, che sono
angeli nello
stesso tempo, al
di sopra dei
quali risiede.
Perciò è
chiamato anche
«Heptade» e la
Madre sopra di
lui «Ogdoade».
In tale
posizione egli è
il «Luogo del
Mezzo» (23),
avendo al di
sopra la Sophia
e al di sotto il
mondo materiale
da lui formato.
Sotto altro
aspetto la
Madre,
l'Ogdoade, è nel
mezzo, ossia
sopra il
Demiurgo, ma
sotto il
Pleroma, da cui
è tenuta fuori
«fino alla
consumazione».
La relazione
ontologica tra
Sophia e
Demiurgo è
espressa meglio
dall'affermazione:
«La Sophia è
chiamata
'pneuma', il
Demiurgo 'anima'
(Hippol. VI, 34,
1). Per il
resto, nel
Demiurgo dei
Valentiniani
riscontriamo
tutte le
caratteristiche
del dio del
mondo col quale
siamo già
familiarizzati e
di cui perciò
possiamo
trattare qui
brevemente: per
primo la sua
"ignoranza", che
i Valentiniani
sottolineano con
enfasi e che in
primo luogo
riguarda le cose
al di sopra di
lui. Queste,
compresa sua
madre, gli sono
del tutto
sconosciute; ma
anche per quel
che riguarda la
creazione al di
sotto di lui
egli «è
inconsapevole e
pazzo, e non sa
quello che fa e
quello che
produce»
(Hippol. VI,
33), il che
permette a sua
madre di far
penetrare i
propri disegni
in quello che
egli crede di
fare da sé (24).
Ed ecco che
sull'ignoranza
poggia la
seconda
caratteristica
principale che
egli condivide
con la
concezione
gnostica
generale del
Demiurgo:
l'"orgoglio" e
la presunzione
con cui crede di
essere e si
dichiara il solo
Dio unico e
supremo. Perciò
bisognoso di
correzione, egli
è finalmente
illuminato dalla
Sophia e per
mezzo della sua
istruzione è
portato alla
conoscenza e
alla
consapevolezza
di ciò che è
sopra di lui;
tuttavia egli
conserva per sé
il grande
mistero del
Padre e degli
Eoni al quale la
Sophia lo ha
iniziato (25) e
non lo trasmette
a nessuno dei
suoi profeti:
che ciò avvenga
per volontà
della Sophia o
per propria
volontà non è
affermato, ma
molto
probabilmente
per il fatto che
il messaggio
pneumatico e
l'illuminazione
non possono
essere
comunicati
tramite un
agente psichico.
Per comunicare
la gnosi
salvifica agli
elementi
pneumatici nella
creazione, la
Sophia deve
perciò ricorrere
ad un agente
della sua
specie,
l'incarnazione
degli Eoni di
Gesù e Cristo
provenienti dal
Pleroma nella
persona del Gesù
storico. Il suo
avvento, in modo
paradossale, è
preparato dai
profeti, che
erano quelli del
Demiurgo ma per
bocca dei quali
la Madre, a lui
sconosciuta,
comunicava i
suoi messaggi,
che perciò erano
inseriti in
quelli del dio
del mondo. Non
sempre i profeti
sono trattati
con tanta
tolleranza, anzi
in un luogo
vengono chiamati
insieme con la
Legge in modo
alquanto rude
«pazzi ignoranti
che parlano per
un Dio pazzo»
(Hippol. VI, 35,
1).
Un atteggiamento
di maggiore
moderazione e
considerazione
nei riguardi
della Legge
mosaica si
trova, d'altra
parte, nella
"Lettera a
Flora" di
Tolomeo, scritta
per alleviare
gli scrupoli di
una signora
educata
cristianamente.
L'autore si dà
un gran da fare
per chiarire fin
dall'inizio che
la Legge di
Mosè, sebbene
certamente non
provenga dal
Padre perfetto,
non è nemmeno da
Satana, e così
pure il mondo:
entrambi sono
opera di un dio
di giustizia.
Coloro che
attribuiscono la
creazione e la
legislazione a
un dio malvagio
sono altrettanto
in errore quanto
quelli che
attribuiscono la
Legge al Dio
supremo: i primi
errano perché
non conoscono il
dio di
giustizia, i
secondi perché
non conoscono il
Padre del Tutto.
Da una posizione
intermedia
riguardo al dio
legislatore
segue un
atteggiamento di
mezzo verso la
sua Legge, che
tuttavia non è
identica con
l'intero corpo
del Pentateuco.
Quest'ultimo
contiene tre
elementi:
prescrizioni
formulate da
«Dio», da Mosè e
dagli anziani.
Quelle da «Dio»
sono a loro
volta di tre
generi: la pura
legislazione non
contaminata dal
male, che il
Salvatore non è
venuto ad
abolire ma a
perfezionare,
perché era
ancora
imperfetta (per
esempio, il
decalogo); la
legislazione
corrotta dalla
cattiveria e
dall'ingiustizia,
che il Salvatore
ha abolito
perché è
estranea alla
sua natura e a
quella del Padre
(per esempio:
«occhio per
occhio»); la
legislazione
simbolica di
realtà
pneumatiche e
ultramondane,
che il Salvatore
ha trasposto dal
significato
letterale e
sensibile al
significato
spirituale (i
precetti
rituali). Il
«Dio» che ha
ordinato questa
Legge non può
essere né il
Padre perfetto
né il demonio,
perciò non può
essere che il
Demiurgo, il
creatore di
questo universo,
differente nella
sostanza da
entrambi, il
quale detiene un
rango intermedio
tra di essi e
quindi è
chiamato «il
principio di
mezzo». Egli è
inferiore al
Padre perfetto
ingenerato;
superiore
all'avversario,
né buono come il
primo né
malvagio e
ingiusto come il
secondo, ma
propriamente
chiamato
«giusto» e
arbitro del suo
tipo di
giustizia
(inferiore a
quella del
Padre).
Questo è il
punto di vista
più caritatevole
assunto nei
riguardi del
Creatore in
tutta la
Sophia-gnosi,
nell'ambito e al
di fuori della
scuola
valentiniana. Il
sinistro
Ialdabaoth dei
Barbelognostici,
per esempio, è
molto vicino a
identificarsi
con la figura
dell'avversario.
Tuttavia in
ultima analisi
queste non sono
che leggere
variazioni di
atteggiamento
(26) nello
sviluppo di un
tema
fondamentale, e
più o meno le
caratteristiche
che abbiamo
riscontrato
finora in
rapporto alla
«teologia»
gnostica del dio
del mondo sono
anche quelle del
demiurgo
valentiniano.
In genere
riguardo alla
creazione del
mondo la
speculazione
valentiniana si
unisce alla
corrente
generale di
concezioni
gnostiche,
solamente con
pochi lineamenti
secondari
specifici alla
scuola. Due di
essi, collegati
al Demiurgo,
vanno qui
ricordati. Come
il Demiurgo è
una creatura
della Madre
formato dalla
sostanza
psichica, così
il Demonio,
chiamato anche «Cosmocrator»,
è una creatura
del Demiurgo
formato dalla
«sostanza
spirituale di
malvagità», che
a sua volta ha
origine
dall'«angoscia»
(altrove, dalla
«perplessità»):
e qui abbiamo
l'insegnamento
sconcertante che
Satana (con i
demoni) essendo
lo "spirito"
("pneuma") di
malvagità,
"conosce" le
cose che sono al
di sopra, mentre
il Demiurgo,
essendo soltanto
psichico, non le
conosce (Iren.
I, 5, 4). Se il
lettore ha
difficoltà a
capire come la
concezione di
uno «spirito» di
"malvagità" che
gode del
privilegio
genuino dello
spirito, la
conoscenza, sia
compatibile con
la posizione
ontologica del
pneuma nel
sistema, e
quella di una
gnosi superiore
senza
santificazione
del conoscente
con la
concezione
salvifica di
gnosi in quanto
tale, non si
trova in una
condizione
peggiore dello
scrittore.
Un'altra
caratteristica
originale
nell'esposizione
valentiniana
della creazione
è istruttiva
circa la
questione tanto
dibattuta del
«platonismo»
degli Gnostici
(27). Il mondo è
stato creato ad
immagine del
mondo invisibile
del Pleroma da
un Demiurgo che
attua senza
saperlo il
proposito di sua
madre. La sua
ignoranza
tuttavia era
incompleta, come
è dimostrato
dalla seguente
citazione, che
implica da parte
sua almeno una
certa idea del
mondo superiore,
per quanto
inadeguata e
distorta:
«Quando il
Demiurgo volle
inoltre imitare
anche la natura
senza limiti
eterna, infinita
e senza tempo
dell'Ogdoade
superiore (gli
otto Eoni
originari del
Pleroma), ma non
poteva esprimere
la loro
immutabile
eternità,
essendo egli
stesso un
prodotto
dell'imperfezione,
incarnò la loro
eternità in
tempi, epoche e
gran numero di
anni,
nell'illusione
che con la
quantità di
tempi avrebbe
potuto
rappresentare la
loro infinità.
Così gli sfuggì
la verità e
seguì la
falsità. Perciò
la sua opera
passerà quando i
tempi saranno
compiuti» (Iren.
I, 17, 2).
Questa è
naturalmente una
parodia del
famoso passo del
"Timeo" (37 c
s.s.) dove
Platone descrive
la creazione del
tempo come
«l'immagine
mutevole
dell'eternità».
E' evidente per
chiunque voglia
paragonare i due
passi l'abisso
profondo che
divide lo
spirito di
questa
imitazione dal
suo originale.