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Il Demiurgo e la Creazione del Mondo (scuola valentiniana)

Hans Jonas

 

 

- Il Demiurgo e la creazione del mondo.


Oltre la sostanza psichica la Sophia inferiore forma il padre e re di tutte le cose psichiche e materiali; questi infatti ha creato tutto ciò che viene dopo di lui, guidato, pur senza saperlo, da sua madre. Egli è chiamato «padre» delle realtà della destra, ossia quelle psichiche, «artefice» (demiurgo) delle realtà della sinistra, cioè quelle materiali, e «re» di tutte le cose che sono fuori del Pleroma.


«L'Errore ha elaborato la sua Materia propria nel Vuoto, senza conoscere la Verità. Esso si è applicato a modellare una forma, cercando di produrre in bellezza un sostituto della Verità... Non avendo alcuna radice, esso rimase immerso nella nebulosità riguardo al Padre mentre era occupato a preparare Opere, Dimenticanze e Terrori per attirare col loro aiuto quelli del Mezzo e imprigionarli» (E.V. 17, 15-35).


Egli crea sette cieli, che sono angeli nello stesso tempo, al di sopra dei quali risiede. Perciò è chiamato anche «Heptade» e la Madre sopra di lui «Ogdoade». In tale posizione egli è il «Luogo del Mezzo» (23), avendo al di sopra la Sophia e al di sotto il mondo materiale da lui formato. Sotto altro aspetto la Madre, l'Ogdoade, è nel mezzo, ossia sopra il Demiurgo, ma sotto il Pleroma, da cui è tenuta fuori «fino alla consumazione».

La relazione ontologica tra Sophia e Demiurgo è espressa meglio dall'affermazione: «La Sophia è chiamata 'pneuma', il Demiurgo 'anima' (Hippol. VI, 34, 1). Per il resto, nel Demiurgo dei Valentiniani riscontriamo tutte le caratteristiche del dio del mondo col quale siamo già familiarizzati e di cui perciò possiamo trattare qui brevemente: per primo la sua "ignoranza", che i Valentiniani sottolineano con enfasi e che in primo luogo riguarda le cose al di sopra di lui. Queste, compresa sua madre, gli sono del tutto sconosciute; ma anche per quel che riguarda la creazione al di sotto di lui egli «è inconsapevole e pazzo, e non sa quello che fa e quello che produce» (Hippol. VI, 33), il che permette a sua madre di far penetrare i propri disegni in quello che egli crede di fare da sé (24). Ed ecco che sull'ignoranza poggia la seconda caratteristica principale che egli condivide con la concezione gnostica generale del Demiurgo: l'"orgoglio" e la presunzione con cui crede di essere e si dichiara il solo Dio unico e supremo. Perciò bisognoso di correzione, egli è finalmente illuminato dalla Sophia e per mezzo della sua istruzione è portato alla conoscenza e alla consapevolezza di ciò che è sopra di lui; tuttavia egli conserva per sé il grande mistero del Padre e degli Eoni al quale la Sophia lo ha iniziato (25) e non lo trasmette a nessuno dei suoi profeti: che ciò avvenga per volontà della Sophia o per propria volontà non è affermato, ma molto probabilmente per il fatto che il messaggio pneumatico e l'illuminazione non possono essere comunicati tramite un agente psichico. Per comunicare la gnosi salvifica agli elementi pneumatici nella creazione, la Sophia deve perciò ricorrere ad un agente della sua specie, l'incarnazione degli Eoni di Gesù e Cristo provenienti dal Pleroma nella persona del Gesù storico. Il suo avvento, in modo paradossale, è preparato dai profeti, che erano quelli del Demiurgo ma per bocca dei quali la Madre, a lui sconosciuta, comunicava i suoi messaggi, che perciò erano inseriti in quelli del dio del mondo. Non sempre i profeti sono trattati con tanta tolleranza, anzi in un luogo vengono chiamati insieme con la Legge in modo alquanto rude «pazzi ignoranti che parlano per un Dio pazzo» (Hippol. VI, 35, 1).

Un atteggiamento di maggiore moderazione e considerazione nei riguardi della Legge mosaica si trova, d'altra parte, nella "Lettera a Flora" di Tolomeo, scritta per alleviare gli scrupoli di una signora educata cristianamente. L'autore si dà un gran da fare per chiarire fin dall'inizio che la Legge di Mosè, sebbene certamente non provenga dal Padre perfetto, non è nemmeno da Satana, e così pure il mondo: entrambi sono opera di un dio di giustizia. Coloro che attribuiscono la creazione e la legislazione a un dio malvagio sono altrettanto in errore quanto quelli che attribuiscono la Legge al Dio supremo: i primi errano perché non conoscono il dio di giustizia, i secondi perché non conoscono il Padre del Tutto. Da una posizione intermedia riguardo al dio legislatore segue un atteggiamento di mezzo verso la sua Legge, che tuttavia non è identica con l'intero corpo del Pentateuco. Quest'ultimo contiene tre elementi: prescrizioni formulate da «Dio», da Mosè e dagli anziani. Quelle da «Dio» sono a loro volta di tre generi: la pura legislazione non contaminata dal male, che il Salvatore non è venuto ad abolire ma a perfezionare, perché era ancora imperfetta (per esempio, il decalogo); la legislazione corrotta dalla cattiveria e dall'ingiustizia, che il Salvatore ha abolito perché è estranea alla sua natura e a quella del Padre (per esempio: «occhio per occhio»); la legislazione simbolica di realtà pneumatiche e ultramondane, che il Salvatore ha trasposto dal significato letterale e sensibile al significato spirituale (i precetti rituali). Il «Dio» che ha ordinato questa Legge non può essere né il Padre perfetto né il demonio, perciò non può essere che il Demiurgo, il creatore di questo universo, differente nella sostanza da entrambi, il quale detiene un rango intermedio tra di essi e quindi è chiamato «il principio di mezzo». Egli è inferiore al Padre perfetto ingenerato; superiore all'avversario, né buono come il primo né malvagio e ingiusto come il secondo, ma propriamente chiamato «giusto» e arbitro del suo tipo di giustizia (inferiore a quella del Padre).

Questo è il punto di vista più caritatevole assunto nei riguardi del Creatore in tutta la Sophia-gnosi, nell'ambito e al di fuori della scuola valentiniana. Il sinistro Ialdabaoth dei Barbelognostici, per esempio, è molto vicino a identificarsi con la figura dell'avversario. Tuttavia in ultima analisi queste non sono che leggere variazioni di atteggiamento (26) nello sviluppo di un tema fondamentale, e più o meno le caratteristiche che abbiamo riscontrato finora in rapporto alla «teologia» gnostica del dio del mondo sono anche quelle del demiurgo valentiniano.

In genere riguardo alla creazione del mondo la speculazione valentiniana si unisce alla corrente generale di concezioni gnostiche, solamente con pochi lineamenti secondari specifici alla scuola. Due di essi, collegati al Demiurgo, vanno qui ricordati. Come il Demiurgo è una creatura della Madre formato dalla sostanza psichica, così il Demonio, chiamato anche «Cosmocrator», è una creatura del Demiurgo formato dalla «sostanza spirituale di malvagità», che a sua volta ha origine dall'«angoscia» (altrove, dalla «perplessità»): e qui abbiamo l'insegnamento sconcertante che Satana (con i demoni) essendo lo "spirito" ("pneuma") di malvagità, "conosce" le cose che sono al di sopra, mentre il Demiurgo, essendo soltanto psichico, non le conosce (Iren. I, 5, 4). Se il lettore ha difficoltà a capire come la concezione di uno «spirito» di "malvagità" che gode del privilegio genuino dello spirito, la conoscenza, sia compatibile con la posizione ontologica del pneuma nel sistema, e quella di una gnosi superiore senza santificazione del conoscente con la concezione salvifica di gnosi in quanto tale, non si trova in una condizione peggiore dello scrittore.

Un'altra caratteristica originale nell'esposizione valentiniana della creazione è istruttiva circa la questione tanto dibattuta del «platonismo» degli Gnostici (27). Il mondo è stato creato ad immagine del mondo invisibile del Pleroma da un Demiurgo che attua senza saperlo il proposito di sua madre. La sua ignoranza tuttavia era incompleta, come è dimostrato dalla seguente citazione, che implica da parte sua almeno una certa idea del mondo superiore, per quanto inadeguata e distorta:


«Quando il Demiurgo volle inoltre imitare anche la natura senza limiti eterna, infinita e senza tempo dell'Ogdoade superiore (gli otto Eoni originari del Pleroma), ma non poteva esprimere la loro immutabile eternità, essendo egli stesso un prodotto dell'imperfezione, incarnò la loro eternità in tempi, epoche e gran numero di anni, nell'illusione che con la quantità di tempi avrebbe potuto rappresentare la loro infinità. Così gli sfuggì la verità e seguì la falsità. Perciò la sua opera passerà quando i tempi saranno compiuti» (Iren. I, 17, 2).


Questa è naturalmente una parodia del famoso passo del "Timeo" (37 c s.s.) dove Platone descrive la creazione del tempo come «l'immagine mutevole dell'eternità». E' evidente per chiunque voglia paragonare i due passi l'abisso profondo che divide lo spirito di questa imitazione dal suo originale.

 

 

Tratto da LO GNOSTICISMO edizioni Sei







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