1. Introduzione
Il termine
Arconte trova la
sua origine nel
greco
arkhonontos (
magistrato,
primo magistrato
). La natura
della parola è
indicativa del
ruolo che tale
figura svolge
nella teogonia e
cosmogonia
gnostica, essi
sono i giudici,
i controllori di
questo mondo. E'
giusto ricordare
che lo
gnosticismo
storico propone
un Cosmo
ontologicamente
e/o
fenomenologicamente
separato dal
mondo divino. In
relazione ad una
originaria
caduta si genera
una
contrapposizione,
apparente o
sostanziale, fra
questo mondo,
dove l'uomo si
trova
prigioniero, e
una divinità
superiore e
occulta. Nei
sistemi gnostici
di origine
iranica, dove il
dualismo è
radicale,
sussitono due
Enti che si
affrontano in
una vera e
propria lotta,
attraverso i
rispettivi
eserciti, mentre
nei sistemi
gnostici di
origine
greca-egizia-giudaica,
riscontriamo la
figura di un
Demiurgo (
Piccolo Creatore
) coadiuvato da
potenze da lui
generate: gli
Arconti. La
presenza del
Demiurgo è
caratteristica
sia dei sistemi
ontologicamente
dualistici, sia
di quelli dove
tale
caratteristica è
solamente
fenomenologica.
2. Arconti
I commenti che
trattano della
figura degli
Arconti, tendono
a rappresentare
queste potenze
come le
creatrici del
nostro mondo, e
dell'uomo
stesso. Tale
identificazione
può portare a
facile
confusione, se
non viene
ricordatoche il
Cosmo non è
concidente che
l'Ente Supremo,
e che il Dio
Occulto oltre ad
essere divinità
è anche luogo
adimensionale e
atemporale
preesistenze al
Cosmo stesso.
Dove
quest'ultimo
rappresenta
l'effetto di una
crisi
accidentale
occorsa nel
Pleroma stesso.
Quindi possiamo
meglio
inquadrare la
funzione degli
Arconti come
quelle potenze,
che in virtù
della
rimembranza per
l'ordine e
l'armonia del
Pleroma, tendono
a ricrearla
attraverso la
suddivisione e
la regolazione
dello spazio
insito nel
Cosmo,
attraverso atti
di creazione, e
di applicazione
delle leggi.
Dove la
suddivisione, la
regolazione, e
la creazione
rispecchiano,
seppur in
difetto,
l'antica realtà
del pleroma.
Essi quindi
tendono a
riflettere nel
Cosmo
accidentale, il
ricordo di
quello che era,
e che non è più.
Lasciando
trasparire
anch'essi una
sorta di
nostalgia,
sublimata
nell'atto
creativo stesso.
Un ricordo che è
insito nel loro
patrimonio
generico, o per
meglio dire
nella loro
medesima matrice
spirituale.
3. Arconti e
apocrifo di
Giovanni
Così l'Apocrifo
di Giovanni
descrive la
nascita del
primo arconte:
Allorchè essa
vide che
l'oggetto della
sua volontà era
di tipo diverso
- aveva il tipo
di un drago, la
faccia di leone
dagli occhi di
fuoco fulminanti
e fiammeggianti,
lo allontanò da
se...........
La Madre dell'
Arconte è Sopia
un Eone
promanato dal
Pleroma, che
disubbidendo
alla regole che
governano il
Pleroma stesso,
ha generato
senza
congiungersi al
suo naturale
compagno, ma
unendosi al
desiderio che
essa provava per
l'Ente Supremo.
Da questo breve,
ma significativo
stralcio,
posiamo
enucleare tre
elementi che
devono essere
presi in
considerazione:
La
contrapposizione
fra l'immagine
della Sopia, e
la bestialità
del suo frutto
La vergogna
della Sofia per
il suo frutto
La nascita
dell'Arconte
tramite atto di
esclusiva
volontà della
Sopia
La natura
animalesca del
Primo Arconte,
che si staglia
con la pura
essenza
pneumatica della
Sopia,
Jaldabaoth,
questo è il suo
nome, in niente
rende
testimonianza
alla perfezione
della madre. In
quanto in virtù
del desiderio
che lo ha
generato, creato
da pulsione alla
separazione ma
anche creante
tale
separazione,
risulta specula
negativa e
mostruoso della
bellezza e
armonia che
permaneava tutto
il Pleroma. Il
desiderio è
corruzione di
ogni pensiero, e
il pensiero è la
radice di ogni
fare. Quindi se
il desiderio è
incubo del
pensiero, e con
esso si trova
avvinghiato,
ineluttabilmente
l'azione posta
in essere
risulterà
macchiata, e
stravolta. Il
lecito Amore che
tutto arde di
Sophia per il
Pleroma come
divinità
inconoscibile,
un Amore di
Conoscenza, si è
trasmutato in
desiderio, e a
sua volta in
brama.
L'ipostasi del
pensiero di
Sophia, ne è
risultata
stravolta nella
forma e nel
contenuto,
seppure un seme
della sua natura
divina, è
scivolata in
essa.
La Sopia innanzi
a questo suo
frutto, prova
vergogna. In
quanto esso è
testimonio della
sua
trasgressione,
della sua
violazione alle
regole divine.
Ne prova
repulsione,
paura e lo
nasconde, oltre
il mondo degli
eoni, nell'Ombra
sottostante,
dando così
inizio alla
Creazione del
Cosmo. Infatti
il Cosmo viene
posto in essere,
in quanto lei vi
ha collocato una
realtà
indipendente
all'unicità
nella natura del
Pleroma. Una
separazione in
separando. Non
fu la Lussuria
la causa, ma
effetto del
desiderio, che a
sua volta generò
l'ira, che si
cristallizzò in
lussuria.
Proseguendo
nella lettura
dell'apocrifo
troviamo che i
figli di
Jaldabaoth, sono
descritti chi
con forma di
iena, di pecora,
di asino, di
drago, scimmia e
fuoco.
Continuando a
rimarcare la
loro natura
perversa e
malata. Essi non
sono ne immagine
ne somiglianza
degli eoni che
dimorano nei
limiti estremi
del Pleroma, in
quanto queste
potenze
inferiori
essendo
ignoranti
veicolano tale
stato
dell'anima,
anche nella loro
manifestazione.
E' infatti
giusto ricordare
che nello
gnosticismo
storico la
Conoscenza è
veicolo e forma
di redenzione,
come se essa
portasse ad un
cambiamento
intrinseco nella
natura
dell'essere.
Cambiamento non
solo animico, ma
anche mentale e
fisico. Ecco
quindi che anche
lo stato di
ignoranza,
intesa come
assenza della
conoscenza,
comporta eguale,
seppur inverso,
processo
plasmante della
natura e della
forma di ogni
essere.
4. Funzione
degli Arconti
nell'Apocrifo di
Giovanni
Jaldabaoth, il
Primo Arconte, e
i suoi figli, in
virtù della sua
discendenza da
Sopia ha in se
la capacità di
creare, anche se
è limitato in
questa arte
dalla propria
ignoranza, e
dalla
degradazione
generata dalla
non discendenza
diretta
dall'Ente
Supremo.
Jaldabaoth
ordina il cosmo,
i cieli, la
terra, e il
creato tutto, e
pone sul trono
dei cieli i suoi
figli. Questa
opera generativa
viene interrotta
dalla
manifestazione
del Metropator,
accorso verso
Sopia, immagine
perfetta del Dio
occulto,
invisibile,
Padre di tutto.
Jaldabaoth e i
suoi figli, e le
potenze da essi
generate sono
basiti da tale
potenza, e
tremano dalla
consapevolezza
della loro
limitatezza, a
cospetto di
cotanto
splendore.
Decidono quindi
di catturare il
Dio Padre,
attraverso una
sua immagine,
l'immagine
dell'Adam
Terreste,
specula
dell'Adam
Celeste:
manifestazione
del Metropator.
Ma tale
creatura,
relegata nel
Paradiso
Terreste, è
incapace di
alzarsi, e
solamente la
clemenza del
vero Padre,
attraverso il
soffio di vita,
le permetterà di
ergersi. Cosa
dedurne ? Un
vaso d'acqua per
essere tale,
necessita di
acqua.
5. Arcontici.
Una setta
gnostica del IV
secolo diffusa
in Palestina ed
in Armenia,
fondata da un
prete
palestinese di
nome Pietro da
Cabarbaricha, il
quale, deposto
dal sacerdozio,
si rifugiò in
una comunità
ebionita.
Intorno al 360,
oramai in età
avanzata, P.
viveva, in
estrema povertà,
come un eremita
in una caverna
vicino a
Gerusalemme,
dove trasmise le
sue dottrine ad
un tale Eutatto,
che le portò in
Armenia.
Successivamente
P. venne
scomunicato da
Sant'Epifanio,
vescovo di
Salamis
(l'attuale
Costanzia
sull'isola di
Cipro),
principale fonte
di informazione
su questa setta.
La dottrina
gnostica degli
a. era basata su
sette cieli,
ognuno governato
da un principe
(in greco archon,
da cui il nome
della setta),
circondato da
angeli,
carcerieri delle
anime, mentre in
un ottavo
dimorava la
Madre Suprema di
Luce.
Il re o tiranno
del settimo
cielo era
Sabaoth, il Dio
dei Giudei,
padre del
demonio:
quest'ultimo si
era ribellato
all'autorità del
padre e aveva
generato,
unendosi ad Eva,
Abele e Caino e
quindi l'intera
umanità.
Compito delle
anime era di
raggiungere la
conoscenza
(gnosi) in
maniera da
sfuggire il
potere malvagio
di Saboath e
volare in
ciascuno dei
cieli fino a
raggiungere la
Madre Suprema.
Gli a. erano
molto ascetici e
rigoristi
(digiunavano
spesso e
praticavano la
povertà),
negavano la
resurrezione del
corpo (ma non
quella
dell'anima) e
condannavano i
Sacri Misteri e
il Battesimo, in
quanto qualcosa
introdotto dal
tiranno Sabaoth,
per tenere
intrappolate le
anime.
I loro testi
sacri erano
alcuni libri
apocrifi,
denominati
Symphonia,
Anabatikon e
Allogeneis. (
tratto da
www.eresie.it)
6. Una chiave di
lettura
Tornando
all'origine
greca della
parola Arconte,
Magistrato,
chiediamoci
quale sia la
funzione di tale
figura divina,
posta fra l'uomo
e il Padre
Occulto.L'Arconte
è una Potenza
che ha plasmato
la figura umana,
e dato creazione
alla sua dimora
terreste. Tale
speculazione è
valevole per
ogni contesto
cosmogonico e
teogonico; dove
gli Arconti
hanno ruolo,
essi sono
raffigurati come
quelle figure
che hanno dato
regole al Cosmo
e al Tempo, in
virtù della loro
rimembranza
infusa,
dell'armonia e
dell'ordine del
Pleroma.
Nei
testi classici
oltre ad
evidenziare gli
arconti nel
ruolo di
creatori, seppur
limitati dalla
loro ignoranza e
accidentalità,
(il Primo
Arconte è
chiamato
Jaldabaoth
l'arrogante o
Samael il
cieco), si
sottolinea la
funzione di
ostacolo che
essi esercitano
al ritorno
dell'uomo verso
il Padre
Occulto. Una
forza di
opposizione che
si esplicita
attraverso il
perdurare della
soggezione
dell'uomo alle
regole del
Cosmo, e delle
altre strutture
in esso
comprese. Ed
essendo la
composizione
occulta
dell'uomo
dipendente per
gran parte
dall'agire degli
Arconti, vi è
una
corrispondenza
naturale fra
quanto vi è in
noi, e quanto vi
è fuori di noi.
E quindi al
costante
richiamo che il
Pneuma ci invia
per spronarci al
Grande Ritorno,
subiamo anche la
continua volontà
di fascinazione
alle
manifestazioni
di questo mondo.
Dopo questa
rapidissima
esposizione, la
risposta che mi
sono dato, e che
vi offro,
maturata nei
miei studi e
nella mia
ricerca si pone
su di un cardine
maestro dal nome
non giudizio. E'
infatti inutile
che l'uomo
giudichi la
creazione e gli
Arconti, in
quanto essi in
realtà sono i
suoi magistrati
"naturali".
L'uomo non è
libero perchè è
qui adesso, ma
esattamente il
contrario:
questa verità è
determinata
dalla stessa e
sola presenza
dell'uomo nella
sua dimora
terrestre, così
apparentemente
lontana dalla
dimora divina.
E' la medesima
condizione di
stato che è
prova del nostro
difetto, quindi
invece di
perdersi in
giudizi morali,
è utile
impegnarci per
superare
l'ostacolo che
ci è posto
innanzi. In
quanto non a
parole, ma con i
fatti,
rovesceremo
individualmente
la nostra
condizione.