26 Ottobre 2009,
questo mio
scritto
rettifica,
integra, e
ammenda ogni mio
scritto
precedente.
Esiste un
rapporto fra
gnosticismo e
agnosticismo che
ben più
radicale, della
comunione che
entrambi
ritrovano nella
parola greca
conoscenza ?!
L'agnostico è
colui che
innanzi ad un
concetto
sospende il
proprio giudizio
giacché non è in
possesso di
utili
informazioni, o
dell'esperienza,
o degli
strumenti
logici, per
trovare ad esso
soluzione. Esso
non esclude
risposta
affermativa o
negativa al
quesito,
solamente si
esula da dare
risposta in
quanto essa è
esterna alle sue
possibilità o
capacità
immediata. Si
comprende che
ciò non
significa che si
escluda la
possibilità di
risposta, ma
solamente la
coincidenza fra
questa e
l'insorgere del
problema
sottoposto.
Seppur la
posizione
agnostica possa
essere il
risultato di
ogni umana
relazione che
vari fra
l'etica, la
morale, la
scienza, e la
filosofia, essa
assume
particolare
rilevanza nel
rapporto fra
uomo e Dio.
Costituendo una
sorta di terzo
polo, che si
incunea fra
credenti e atei.
Mentre i primi
accettano per
fede o per
interpretazione
di particolari
fenomeni
l'esistenza di
un creatore, i
secondi la
negano
radicalmente,
sostenendo
l'inutilità e la
superstizione
legata alla
credenza in Dio.
Innanzi a tali
irriducibili
posizioni,
l'agnostico
semplicemente
sostiene
l'inadeguatezza
dell'umana sfera
innanzi a simile
questione.
Del resto non
possiamo non
ammettere come
tutta la scienza
e la filosofia
umana, intese
come lettura ed
interpretazione
del manifesto,
sono sempre
soggette alla
caducità e
all'imperfezione,
in quanto l'uomo
stesso è
comunque parte
di quell'insieme
che esso stesso
intende
studiare, e da
cui vuole trarre
delle risposte
formative ed
informative
anche su se
stesso.
In altri termini
è come se per
unità di misura
noi
utilizzassimo
uno strumento
che è al
contempo misura
e misuratore, e
la cui lettura e
determinatezza
varia in
relazione al
fenomeno
indagato. Del
resto non
possiamo neppure
negare come le
stesse religioni
nel momento in
cui pretendono
di ridurre a
dialettica Dio e
il rapporto fra
questi e la
creazione,
cadono esse
stesse in
profonda
contraddizione,
in quanto fanno
di ciò che è
posto oltre
l'uomo, una
sorta di
specchio
dell'uomo
stesso. Neppure
è accettabile la
posizione di
coloro che
semplicemente
negano ogni
espressione
sovra o ultra
umana, in quanto
non è negando la
questione
ontologica, che
possiamo avere
determinazione
del rapporto fra
l'uomo e le cose
tutte. L'ateismo
è la speculare
posizione al
credente. L'ateo
e il credente
nei fatti
entrambi
aderiscono in
modo radicale ad
una categoria
concettuale
assoluta ed
assolutistica.
Lo gnosticismo
s’interroga
attorno ai
rapporti fra
creatura e
creatore, e
giunge alla
conclusione che
il mondo
fenomenico e il
mondo superiore,
l'uno caduco e
binario, l'altro
permanente e
unitario, sono
frutto di una
frattura
pneumatica,
causata da una
caduta, da un
errore, che si è
ripercorsa di
manifestazione
in
manifestazione.
In se questa
frattura non è
universalmente
risanabile, ma
solamente a
livello
individuale
tramite una
trasmutazione e
un
riassorbimento
di ogni singola
manifestazione
nella propria
essenziale
radice. In un
percorso che
coniuga la
scarnificazione
e l'eccellenza.
La
scarnificazione
di ciò che è, e
l'eccellenza di
ciò che
realmente siamo.
Attraverso una
complicata
cosmogonia, una
ricca
letteratura
mitologica e
poetica, lo
gnostico impone
che la relazione
Creatura e
Creatore non sia
costretta sui
piani della
logica, legata
al manifesto, e
neppure della
speranza cieca,
legata al mondo
delle emozioni,
bensì condotta
sul piano
dell'indagine
interiore, della
sublimazione
dell'uomo, del
monito che ogni
umana ricerca
gode trova
esaltazione e
limite, proprio
dalla condizione
umana. La quale
possiamo
riassumerla come
parte del
problema e parte
della soluzione.
Se la
manifestazione è
quanto di
sensibile posto
innanzi alla
nostra indagine,
è al contempo
velo di ciò che
è posto oltre la
stessa, e anche
qualora si
alzasse tale
velo allora
immediatamente
ciò che fino a
quel momento era
da esso celato
ricade nella
sfera del
sensibile. Ecco
quindi il
Demiurgo
artefice della
manifestazione,
disgiunto dal
piano pneumatico
o spirituale, ma
solamente Rex
Mundi, che come
tale è vertice
ed elemento
della
manifestazione
stessa. Nella
scuola
valentiniana il
mondo
pneumatico, o
delle idee
superiori o
della
permanenza, o
del perfetto
spirito, è posto
oltre l'Abisso e
il Silenzio, un
duplice e
profondo baratro
che separa
l'uomo, che pur
ha superato le
prove
iniziatiche,
dalla sua
condizione alla
sua aspirazione.
O in altri
termini da ciò
che è puramente
eonico, da ciò
che non lo è.
Valentino pare
suggerirci che
l'ultimo passo
da compiere,
frutto di una
progressiva
scarnificazione,
è quello di
abbandonare
proprio la
condizione
umana, in quanto
tale è
l'impedimento
per la
comprensione del
mondo degli
eoni.
Sempre
un'apparente
contraddizione
che la ricchezza
simbolica e
mitologica
gnostica, i
sottili sofismi
che pare che la
permangano, si
concluda con la
spogliazione non
solo a ciò che
siamo, ma a ciò
che non siamo
proprio, in
quanto ci
impedisce di
essere
veramente.
Ecco quindi il
silenzio e
l'abisso, e il
monito di come
la visione della
radice prima sia
negata agli
stessi eoni,
scuola
barbelotiana, in
quanto o siamo o
non siamo ciò
che siamo, e
quindi siamo
Altro.
Lo gnostico
constata quindi
di essere
estraneo alla
creazione tutta,
in quanto in lui
è preesistente
una radice
spirituale
superiore, ma è
ancora
dolorosamente
altro rispetto
alla propria
aspirazione.
Questa radice
spirituale non è
perfettamente
definibile, non
è
circoscrivibile,
in quanto è
sentita
avvertita come
una flebile
luce, che
intensificandosi
mostra per
differenza
l'ombra che la
circonda e in
cui lo gnostico
è avviluppato.
Essendo però su
di un piano
manifestativo, e
quindi
sensibile, le
forze e gli
elementi che
compongono
l'insieme
dell'indagine
sono in continua
mutazione
reciproca, in
una sorta di
perenne
interferenza,
fino a quando
l'una riduce
l'altra per
manifesta
impossibilità di
proseguire. Ma
quando si giunge
a simile
estremità allora
immediatamente
hanno fine le
domande, e ciò
che era un
tendere verso un
punto, diviene
il punto stesso.
In conclusione
possiamo
affermare che lo
gnostico non si
poneva e
pretendeva
nessuna risposta
attorno alla
radice prima, e
ai rapporti fra
questa e l'uomo,
in quanto ogni
speculazione
sulla medesima
sarebbe coincisa
nel degradarla
sul piano
manifestativo.
Ecco quindi
l'utilità
filosofica di
relegarla su di
un piano di
assoluta
intangibilità
per l'uomo
stesso, e
pretendere da
quest'ultimo, al
fine di
comprenderla, di
esserla
rinunciando ad
essere.