1.
INTRODUZIONE
L'uomo moderno
tributa
un'enorme
importanza al
tempo, anche se
raramente riesce
a cogliere
l'essenza di
tale concetto, e
come ogni
rapporto su di
esso trovi
misura.. Senza
timore di
smentita
possiamo
affermare che la
nostra società è
immersa nel
tempo, e la vita
dell'uomo è
cadenzata da
questo
invisibile
burattinaio. I
minuti si
trasformano in
ore, i giorni in
settimane, e
queste in mesi,
gli anni si
riconrrono
implacabile,
e ogni
tappa, successo,
ed insuccesso
della nostra
vita trova
espressione nel
meccanico tempo.
Esso
è come il
selciato su cui
noi
inconsapevolmente
camminiamo.
Astraendoci dal
flusso delle
cose, degli
impegni,
possiamo
osservarci come
un punto posato
su di una retta,
un passato e un
presente si
aprono alle
spalle o innanzi
alla nostra
sosta, e i
ricordi o le
aspettative
trovano esatta
collocazione su
questo
impalpabile
metro.
Indubbiamente ordiniamo
la nostra vita
in virtù di ciò
che è stato
conseguito, e
misurato, e ciò
che sarà
conseguito e
misurato:
la data
di nascita, il
primo giorno di
scuola, la
maturità, la
laurea,
l'ingresso nel
mondo del
lavoro, le
nozze, il primo
figlio, le rate
del mutuo,
ecc.ecc.. Ad
ogni accadimento
una data, ad
ogni data un
accadimento,
passato,
presente e
futuro sono
scadenzati,
in una
tranquillizzante
processione di
giorni, mesi,
anni.
Nella visione
moderna il
tempo è una
freccia
scagliata nello
spazio, che
disegna una
linea retta,
attraverso il
cui transito
nello spazio
ordina e
preordina le
movenze della
vita umana.
Oramai siamo
così assuefatti
da questa idea
del tempo e
della vita, che
su esso si
plasma, che
neppure ci
interroghiamo
sull'esatto
meccanismo che
regola tutto
ciò, e se sempre
è stato così. La
perdita di
valori
tradizionali, di
riflessione, di
vicinanza
all'idea divina,
hanno però
condotto l'uomo,
il singolo a
perdere la
prospettiva del
tempo, della
missione del
tempo, e a porre
l'uomo, o meglio
l'io contingenze
al centro
dell'universo,
dando esclusiva
importanza a ciò
che è, e ciò che
dovrebbe essere,
senza
minimamente
cogliere la
natura illusoria
di questa
collocazione.
L'io contingente
ha un inizio e
una fine, ma
tale verità
viene rimossa,
occulta da una
canzone
psicologica di
eterna vita, di
eterno mondo di
promesse, e di
risultati da
conseguire.
Possiamo
definire questa
novella
filosofia del
tempo, come
persistenza
dell'illusione
dell'io, e
disconoscimento
della morte. In
un bizzarro
quanto
interessante
dualismo fra
l'enesorabilità
del tempo, e
negazione della
morte, quale
fine del tempo;
il quale si
dilata in
un'eterna e
infinita attesa,
nella quale
l'uomo moderno
perde se stesso.
La domanda che
ci poniamo è se
tale visione è
sempre stata
identica a se
stessa, e se vi
sono state e vi
sono ancora oggi
altre
prospettive, che
non siano legate
alla decadenza
della modernità
? Avendo come
punto di
riferimento il
bacino del
mediterraneo,
daremo, senza
volontà di
essere esaustivi
ma invitando a
successivi
approfondimenti,
indicazione di
come gli antichi
hanno sviluppato
il concetto del
tempo.
2.
IL TEMPO NEL
CRISTIANESIMO
Nel
cristiasianesimo
il tempo ha
inizio con
l'abbandono
forzato di Adamo
ed Eva del
Paradiso
Terreste, in
virtù del loro
peccato contro
il volere di
Dio. L'uscita
dall'Eden
coincide da un
lato con
l'allontanamento
da Dio (caduta),
e dall'altro
dall'inserimento
dell'uomo a
pieno titolo nel
regno naturale,
e nel suo
completo
assoggettamento
alle leggi che
governano.
E' detto:
Genesi 3:16
Alla donna
disse:
«Moltiplicherò i
tuoi dolori e le
tue gravidanze,
con dolore
partorirai
figli. Verso tuo
marito sarà il
tuo istinto, ma
egli ti
dominerà».
Genesi 3:17
All'uomo disse:
«Poiché hai
ascoltato la
voce di tua
moglie e hai
mangiato
dell'albero, di
cui ti avevo
comandato: Non
ne devi
mangiare,
maledetto sia il
suolo per causa
tua! Con dolore
ne trarrai il
cibo per tutti i
giorni della tua
vita.>>
Ecco quindi il
ciclo dela vita,
tramite la
donna, e il
ciclo delle
stagioni legate
al lavoro,
tramite l'uomo,
che si fondono
nella dimesione
terrestre della
Creazione. Non
più immortalità
ignava, non più
beato
accoglimento dei
doni della
terra, l'età
dell'oro è
terminta, e
l'uomo perduta
la condizione di
essere divino,
di dominatore
spirituale della
natura, viene
relegato in una
dimensione di
elemento
dell'insieme
della creazione,
peso e misura, a
sua volta,
governato egli
stesso da pesi e
da misure.
Ha così inizio
il tempo
dell'uomo, fra
passioni,
guerre,
carastie, drammi
e gioie, lontano
da Dio che si
manifesta solo
eccezionalmente
attraverso la
voce, spesso
inascoltata, dei
profeti.
Assistiamo così
alla repentina
discesa dalle
sommità
spirituali, ed
ad un lento
cammino in una
pianura oscura,
raramente
rischiarata dal
verbo divino, da
altri udito. Il
peccato
originale ha
allontanato in
modo definitivo
l'uomo da Dio, e
come prezzo di
tale colpa egli
è costretto
all'esilio
perpetuo in una
natura ostile,
in un universo
di dolore, dove
egli stesso ha
introdotto il
male.
Vi è un
accadimento
irripetibile che
interrompe
questo stato di
cose, un
avvenimento che
dona un nuovo
corso al tempo,
e una
prospettiva di
salvezza agli
uomini. Questo
evento è la
venuta di Gesù
Cristo, l'unico
meditore, il Dio
fattosi uomo,
testimone del
Verbo di Dio, in
quanto Verbo
reso carne, e
portatore della
nuova legge.
Tale avvento
libera il mondo
dall'immane
fardello del
peccato
originale, egli
è l'olocausto
necessario a
ristabilire
l'alleanza
perduta. Ecco le
parole di
Giovanni
Battista, così
come riportate
dal Vangelo di
Giovanni:
Giovanni 1:29
Il giorno dopo,
Giovanni vedendo
Gesù venire
verso di lui
disse: «Ecco
l'agnello di
Dio, ecco colui
che toglie il
peccato del
mondo!
Liberato l'uomo
dal peccato
originale, dalla
colpa della
trasgressione
della divina
volontà, che
ancora turba
come una nevrosi
l'ebreo che
cerca di
esorcizzarla
autoproclamandosi
appartenente al
popolo eletto,
niente più è
vano. L'uomo
libero dalla
catena può
disporre del
proprio libero
arbitrio,
ponendolo al
servizio di una
volontà di
riscatto
attraverso le
opere, oppure di
nuova
dannazione, non
generata però da
colpe
ancestrali, ma
da atti e fatti
a lui solo
riconducibili.
Dal tempo della
disperazione o
della Natura,
vissuta come
separazione ed
esilio perpetuo,
passiamo al
tempo degli
uomini e della
loro fattiva
attesa, tramite
le opere, della
seconda venuta.
E' detto dal
Vangelo secondo
Matteo:
Matteo 13:43
Allora i giusti
splenderanno
come il sole nel
regno del Padre
loro. Chi ha
orecchi,
intenda!
La Venuta del
Cristo ordina
quindi il tempo
in un prima e un
dopo, e offre
una prospettiva
di salvezza per
gli uomini, e
una promessa: Il
Tempo avrà una
fine, e con essa
questa
Creazione. La
vita, la
passione, e la
morte del Cristo
è un evento
unico ed
irripetibile, un
mito che
coincide con una
vita e una
missione, un
esempio, un
simbolo che deve
essere vissuto,
seppur in scala
ridotta, da ogni
cristiano se non
nella concreta
sofferenza,
nella fede di
una risurrezione
e di una
salvezza dopo la
morte. Da tale
accidente
storico, ne
discende che
niente si ripete
eguale, in
quanto tutto è
posto prima o
dopo di esso, e
da esso
illuminato in
modo difforme,
ed ad esso
congruo o
incongruo,
giusto o errato.
Egli è la pietra
di paragone e di
scandalo. Egli
porta la Legge.
Egli tornerà ad
amministrare la
Legge, e
rispetto a tutto
ciò è possibile
solamente sedere
fra i giusti o
gli empi, ognuno
portando a
testimonianza la
propria
esperienza di
vita.
3. IL TEMPO
NELL'ELLENISMO
Attorno alla
prospettiva del
mondo ellenico
verso il Tempo,
merita riportare
il pensiero di
Aristotele.
Egli ebbe a dire
che al punto di
rotazione del
circolo in cui
ci troviamo
possiamo dirci
posteriori alla
guerra di Troia;
ma basta che il
circolo continui
a girare e
riporterà
nuovamente dopo
di noi quella
stessa guerra di
Toria; in tal
senso, possiamo
altrettanto
giustamente dire
di essere
anteriori a un
simile evento.
Per il greco
questo mondo è
necessaria e
fedele immagine
del divino, il
Demiurgo,
l'artigiano che
con perizia ha
dato vita alla
manifestazione,
ha in essa
trasfuso le
verità, e le
idee superiori,
cesellando a
loro immagine e
somiglianza ogni
aspetto della
vita umana e
della Natura.
Ecco che quindi
come al greco
venga richiesto
di incarnare a
sua volta il
concetto di
divinità, nei
suoi molteplici
aspetti ( l'arte
guerriera, la
bellezza, la
sapienza ) in
modo da
eccellere ed
essere
riscattato da
una misera e
tenebrosa non
vita dopo la
morte, ma di
sedere come eroe
alla tavola
divina.
L'Universo greco
è eterno ed
immutabile,
dato, senza
possibilità
alcune di
modificazione da
parte dell'uomo,
che può però
renderlo
palcoscenico
delle proprie
imprese,
nobilitandosi da
semplice
comparsa della
storia, al ruolo
di protagonista
della propria e
dell'altrui
vita, facendo
così
riecheggiare le
proprie gesta
nell'eternità.
L'eterna scelta
di Achille si
propone
continuamente:
Una vita amato,
immerso nei
piaceri della
famiglia e del
lavoro, e morire
dimenticato,
oppure una vita
intensa, eroica,
che sia
ricordata dagli
uomini e dagli
dei ?
La via eroica e
la via
filosofica sono
due prospettive,
per sfuggire
all'atemporalità
del Cosmo. Siamo
innanzi
all'esamplarismo
ellenico,
dominato da
un'Idea
Superiore
intelleggibile,
incorruttibile,
e sempre eguale
a se medesima,
immune al ciclio
ripetersi del
tempo, grado e
meccanismo
inferiore.
Platone ebbe a
definire il
tempo, come
determinato e
misurato dalla
rivoluzione
delle sfere
celesti, è
l'immagine
mobile della
immobile
eternità, che
esso imita
svolgendosi
circolarmente.
Ecco quindi il
mondo divino o
delle Idea
incorruttibili
posto al centro,
e la creazione,
e le sue
movenze,
scorrere lungo
un anello
fattosi come
specchio,
riflettendo tale
realtà.
Mantenendone
l'unità, seppur
frammentandola
in cicli, dove
niente è unico
ma tutto si
ripete, in una
compenetrazione
del fenomeno da
parte del mito.
Lucrezio
sentenziò:<
eadem sunt omnia
semper nec magis
id nunc est
neque erit mox
quam fuit ante.
>
Pitagorici,
Platonici e
Stoici
sostenevano la
presenza di più
cicli che poi si
ricomponevano
ognuno
nell'altro
nell'unità
immutabile. Ogni
accadimento non
è mai unico e
irripetibile, ma
una tragedia
dall'eterna
riproposizione,
in un'eterna
ripetizione, in
un eterno
ritorno.
4. LA VISIONE
GNOSTICA DEL
TEMPO
Innanzi al
tempo, quale la
posizione dello
gnostico ?
Similare al
movimento
rettilineo
cristiano,
oppure identico
alla ciclicità
degli antichi
greci ? Inizio
del tempo, e
fine del tempo
racchiusi nella
prima e seconda
venuta del
Cristo, oppure
spirale infinita
da cui niente si
libera, e tutto
si confonde ?
La Cosmogonia
gnostica indica
che il tempo e
lo spazio
gnostico hanno
vita nello
stesso istante
in cui la
Sophia, in virtù
del proprio
errore,
precipita dal
Pleroma, o ne
viene
allontanata, in
altre versioni
del Mito,
dall'eone
Limite. Questo
errore, in virtù
del rimpianto,
del dolore,
della Sophia
stessa, si
cristallizza in
Jaldabaoth, nel
Demiurgo, il
quale a sua
volta ordina lo
spazio
sottostante
all'azione della
Sophia (
ipostasi ), in
ricordo,
permutato dalla
madre, delle
gerarchie
spirituali
disposte attorno
alla fonte di
Luce e di Vita.
Essendo
un'approssimazione,
frutto di un
ricordo, il
mondo così
creato è
imperfetto, è
frutto di un
errore e delle
tragiche
conseguenze di
questo errore.
Jaldabaoth e le
potenze a cui ha
dato vita
(Arconti), e
poste a
governare la
Creazione,
imprigionano lo
Spirito caduto
costruendo
anfore di
materia ( i
corpi ), e
inebriandolo
attraverso le
passioni, gli
istinti, le
emozioni, e la
razionalità. Il
Destino, la
volontà degli
Arconti, è il
poderoso
meccanismo
eretto a mantere
lo Spirito
prigioniero,
inebitito e
irretito. Lo
gnostico, colui
che "ricorda"
intuisce in
virtù della
divina
rivelazione,
cercata e amata,
che vi è il
Mondo oltre al
mondo, che tutto
è irreale,
caduco, e al
contempo una
catena a cui è
imprigionato. Si
aggira come
straniero in
terra straniera,
anelando il
ritorno alla
Dimora paterna (
Il Pleroma ),
reitegrandosi
con la fonte
orginaria, e
ristabilendo
l'antico ordine
interrotto
dall'errore
della Sophia.
Traspare quindi
un'inflessione
oscillante fra
la diffedenza e
il rifiuto da
parte dello
gnostico, colui
che ricerca la
salvezza
attraverso la
"conoscenza
dello Spirito",
dello spazio e
del tempo, in
cui
accidentalmente
e per malvagia
volontà di
potenze si trova
a vagare, e di
cui osserva
l'inutile
ripetizione. Il
ciclo delle
nascite, delle
morti, delle
passioni che
trafiggono come
sette lame il
cuore non
circonciso, i
giorni, e il
moto degli
astri, altro non
sono che
specchietti, che
giochi di
prestigio per
distrarlo, e
defraudarlo
della volontà al
ritorno al
Pleroma. Una
forza contro cui
lo gnostico
"lotta"
attraverso il
distacco donato
dalla propria
comprensione
dell'inganno
ordito.
L'iniziale presa
di coscienza
dell'illusorietà
della
manifestazione,
porta a
riecheggiare in
questo mondo, a
rivivere in
dimensione
umana, il mito
della caduta e
della nuova
ascesa della
Sophia,
attraverso la
comprensione
dell'errore, il
pentimento
dell'errore
commeso, la
riparazione
dello stesso, e
il ricevimento
della Grazia
reintegratrice.
Abbiamo quindi
la
compenetrazione
della dimensione
trascendentale
sul piano della
manifestazione,
la
internalizzazione
del mito da
parte dello
gnostico, che ad
esso da vita
attraverso ogni
aspetto del
proprio essere,
in una chiave
escatologica. Il
compimento del
Mito Gnostico,
equivale alla
fine del tempo e
dello spazio con
conseguente
ritorno alla
Dimora di Luce e
di Vita.
Appare quindi
evidente come
nella visione
gnostica abbiamo
una sorta di
duplicazione del
Tempo.
L'indifferenziato
e ciclico
scorrere delle
cadenze della
manifestazione
tutta, e il
ciclo della
conoscenza
(constatazione-comprensione-reintegrazione-coscienza-consapevolezza)
esperita a
livello umano.
Ne consegue come
lo scorrere del
Tempo è
interrotto,
frammentato,
dalla
rivelazione
divina,
extramondana,
che irrompe
nello gnostico e
dallo gnostico,
traslando ogni
accadimento
materico e
psicologico, in
sostanza
psichica. Ecco
quindi, in
chiave intima,
la disorganicità
del tempo per lo
gnostico.
5.
CONCLUSIONI
Nel
cristianesimo la
venuta
extramondana del
Cristo nella
manifestazione,
interrompe a
livello
universale il
ciclico
ripercorrersi
del tempo,
donando ad esso
una prospettiva
di fine, di un
secondo avvento
che porrà
termine al tempo
degli uomini,
come questo ha
posto termine al
tempo della
natura, e
coinciderà con
il tempo di Dio.
Se nel mondo
greco questa
ripetizione
ruotava attorno
ad un fulcro di
perfezione, nel
mondo cristiano,
prima della
venuta del
Salvatore, esso
ruotava attorno
al peccato, e in
seguito attorno
al Cristo e alla
possibilità di
scelta. Alla
perenne
immutabilità del
mondo ellenico,
si pone adesso
la certezza che
tutto è
irripetibile e
che tutto avrà
un termine.
La visione
gnostica offre
una propria
originale
speculazione che
si distingue da
entrambe,
mostrando quindi
un'originalità
che non può
essere tacciata
di sintesi, ma
casomai mostra
la parzialità
delle
precedenti.
Il tempo è
ciclico per
l'umanità non
gnostica (
illica o
psichica ), che
è vittima
dell'inganno, ma
mentre nella
visione ellenica
tale ciclo è
conforme
all'immagine
della fonte, al
volere divino,
qui è una
caricatura, una
fotocopia
sbiadita, che
necessità di
un'attenta
reintepretazione
che non può
prescindere
dall'unione con
il divino. Nel
rapporto fra
uomo e divinità,
risiede la
differenza di
prospettiva fra
gnosticismo e
cristianesimo.
Se nell'ultimo
il Salvatore ha
valore
universale, per
ogni uomo, tale
da donare una
prospettiva
unica, un
movimento
rettilineo, per
lo gnostico
l'unione è verso
il Cristo
Intimo,
metafisico e
metapsichico. E'
solo con la
gnosi che si
spezza il ciclo
del tempo, visto
e vissuto come
una corona di
ferro, che
giunge il cuore.
Donando allo
gnostico una
posizione
diversa rispetta
all'atemporalità
del mito
dell'ellenico, e
alla temporalità
del Messia dei
cristiani.
L'uomo gnostico
non attende
passivamente la
seconda venuta
del Cristo, ma
attivamente si
prodiga affinchè
in esso vi sia
l'incontro fra
il Cristo e
l'uomo, vivendo
in chiave
estramamente
individuale
questa tragedia
cosmica. Quando
il tempo avrà
fine ? Quando
avrà fine la
materia, in
quanto deprivata
della propria
componente
pneumatica, o
secondo altre
scuole
spiritualizzata
dalla forza
della Gnosi, che
tutto cambia
nell'uomo che la
riceve.
E' interessante
notare come in
ultima analisi
il peculiare
rapporto che lo
gnostico ha con
il tempo e lo
spazio, lo porta
ad operare una
scissione in se
stesso. A creare
un meccanismo
evolitvo-sensoriale,
che si
contraddistingue
in una
impermeabilità
al mondo
esterno, che
viene
attentamente
studiato ed
analizzato, ed
una continua
alimentazione
intellettuale e
spiritual, che
si concretizza
in una
trascendenza di
quanto raccolto
nel mondo e nel
tempo esterno.
Lo gnostico
quindi ha il
proprio spazio,
e il proprio
tempo intimi.
Ecco quindi da
un lato il
doppio mondo in
cui è immerso, e
da cui cerca di
liberarsi
distaccandosi
dalla sfera
grossolana,
dalla creazione
demiurgica, e
dall'altra come
la storia, il
creato, la
coscienza sia
continuamente
squarciata, come
un velo, dalla
potenza della
visione gnostica
redentrice.