Uroboros
di Filippo Goti
(questo lavoro,
seppur limitato
a quanto può
essere divulgato
in questa sede,
integra e
rettifica quanto
altro scritto
dal sottoscritto
antecedentemente
alla data del
22.12.2009)
"Il titanismo è
in prima istanza
una dimensione
interiore, e
successivamente
un'espressione
esteriore. La
prima in assenza
della seconda
sussiste, la
seconda in
assenza della
prima è
velleità"
Esiste un
simbolo che
attraversa
molteplici
tradizioni e che
ancora oggi è
oggetto di
riflessione, di
pratica e
venerazione per
coloro che sono
intenti nello
studio di ciò
che può essere
soglia verso il
profondo. L’Uroboros
è presente nella
tradizione
gnostica,
ermetica ed
alchemica e le
sue origini sono
ancora più
lontane
perdendosi lungo
le valli del
Nilo. Questa
particolare ed
affascinante
rivisitazione
del cerchio,
sembra
raccogliere in
se profondi
significati,
rimandando ad
altri simboli,
ed altri
concetti, che
nella loro
interezza sono
raccolti e
composti lungo
le spire di
questo serpente
indifferentemente
intento a
nutrirsi di se
stesso.
L'Uroboros
(Ouroboro,
Ourorboros,
Oroborus,
Uroboros
o
Uroborus)
è un termine che
deriva dal Greco
(ουροβóρος:coda),
un altro etimo
vorrebbe
Uroboros come Re
Serpente ( Ouro
come Re, ob come
serpente )
. Nella
trattazione
classica questo
simbolo
rappresenta
l’eterna
ciclicità delle
cose tutte, che
hanno inizio da
una fine
precedente, e
una fine che
genera un nuovo
inizio.
Comprendiamo
come tale
prospettiva
possa essere
rivolta sia
verso
espressioni
sociali quali il
corso di una
civiltà, oppure
a
rappresentazione
della teoria dei
cicli cosmici o
del giubileo
sephirotico, ma
anche in una
visione
microcosmica
legata ai cicli
interiori
dell’uomo. Non
possiamo notare
che questa
ricchezza
interpretativa
deriva
dall’antichità
del simbolo
stesso, che nel
corso dei
millenni ha
svolto funzione
di arca,
raccogliendo
valore e
significato
dalle diverse
tradizioni che
lo hanno
tramandato, fino
ai nostri
giorni.
Già 3.000 anni
fa in Egitto
questo simbolo
risultava legato
al ciclo
temporale delle
stagioni e degli
astri, non
dimenticando
come una parte
della cosmogonia
egizia
individuasse nel
serpente che
striscia fuori
dal ventre del
caos il
principio
dinamico ed
ordinatore. Il
movimento come
tempo, il tempo
come movimento,
da cui è facile
immaginare
l’ulteriore
passaggio verso
l’eterna
circolarità
degli elementi
tutti:
perennemente
caduchi,
perennemente
fecondi.
Da
Hieroglyphica
di
Orapollo
nella traduzione
in volgare di M.
Pietro Vasolli
da Fiuizano:
Quando vogliono
scrivere il
Mondo, pongono
un Serpente che
divora la sua
coda, figurato
di varie squame,
per le quali
figurano le
Stelle del
Mondo.
Certamente
questo animale è
molto grave per
la grandezza, si
come la terra, è
ancora
sdruccioloso, è
simile
all’acqua: e
muta ogn’ anno
insieme con la
vecchiezza la
pelle. Per la
qual cosa il
tempo facendo
ogn’ anno
mutamento nel
mondo, diviene
giovane. Ma
perché adopra il
suo corpo per il
cibo, questo
significa tutte
le cose, le
quali per divina
provvidenza son
generate nel
Mondo, dovere
ritornare in
quel medesimo.
Dall’Antico
Egitto, grazie
ai Fenici,
questo simbolo
giunge in Grecia
e da tale culla
del sapere
filosofico viene
impregnato di
altri
significati
sostantivizzanti,
per poi essere
raccolto dalla
Roma Imperiale,
da confraternite
gnostiche, e
successivamente
in ambito
alchemico ed
ermetico, fino
ai giorni nostri
dove la massa di
significati
dialettici e
speculativi
spesso confonde,
più che erudire.
E’ infatti
obbligatorio
chiedersi se
oltre ad una
valenza
universale L'Uroboros,
non assommi in
se anche valori
attribuiti dalla
particolare
prospettiva,
inflessione, ed
operatività
delle varie
comunità
magico-iniziatiche
che lo hanno
adottato,
inserito nella
ritualità, nella
docetica, reso
vettore
immaginifico di
comunicazione.
Se è indubbio
che in comunità
sapienziali
espressioni di
società
agricole, che
hanno quindi nel
corso delle
stagioni il
fulcro della
loro continuità,
l'Uroboros
rappresenta la
sinterizzazione
dell’eterno
processionare
del tempo,
dell’alternarsi
di riposi,
semine e
raccolti, cosa
possiamo dire
quando esso
viene eletto da
ermetisti,
gnostici,
filosofi o
alchimisti ?
Il serpente da
sempre associato
all’arte medica,
in virtù del
potere del suo
veleno che può
causare la
morte, ma da cui
sempre è stato
riconosciuto
potente elemento
di elisir per
curare, ed
inseguire il
sogno della vita
eterna. E’ nella
natura del
serpente
rigenerarsi,
mutando la
pelle, lasciando
il vecchio
involucro e
sostituirlo con
il nuovo.
Nei circoli
alchemici
l'Ouroboros
assume un
triplice valore
simbolico. Esso
è inteso come
elemento di
perpetuazione
della vita, come
espressione di
un antico e
profondo sapere
che governa le
leggi del cosmo,
ma anche come
perfetta
rappresentazione
dell’Opera
Alchemica, su
cui mi
soffermerò
brevemente. In
molti vi è la
tendenza a
ritenere l’Opera
come il
susseguirsi,
rettilineare,
delle tre
piccole Opere
(al nero, al
bianco e al
rosso), niente
di più errato.
Le tre opere non
si succedono
meccanicamente
l’una all’altra,
ma bensì esiste
un piano
circolare dove
continuamente
dal nero andiamo
al bianco, dal
bianco al rosso,
in cui tutta ha
sempre inizio e
fine, e dalla
fine nuovo
inizio. Un motto
alchemico è che
solamente chi ha
l’oro genera
l’oro, e questo
tipo di oro di
cui andiamo
parlando è
inizialmente
racchiuso
proprio nel
nigredo, che
deve essere
compreso ed
intrapreso nella
propria natura.
Ecco perché
precetti morali
non possono e
devono trovare
applicazione
alle leggi
dell’Opera, in
quanto si opera
sempre su piani
inferiori e
piani superiori,
ed è da illusi
pensare il
contrario pena
profondi
squilibri fra i
centri dell’uomo
(sessuale,
emozionale,
intellettuale),
che possono
genera
situazione di
profondo
scompenso.
Nei circoli
ermetici
l'Ouroboros
sembra
raccogliere una
molteplicità di
significati, che
pongono questo
glifo come
espressione
macrocosmica e
microcosmica al
contempo (
notiamo come
spesso questo
serpente è
rappresentato
con una parte
bianca e una
nera, oppure
nera e rossa, o
bianca e rossa
). Da un lato
viene
sottolineato il
ciclo del tempo,
l’annualità, i
dodici mesi,
ricordato
l’eterno ciclo
delle cose
dominato da
Chronos.
Dall’altro si
pone
l’attenzione
sulla necessità
di una chiusura
ermetica, onde
impedire che
l’uomo divenga
cibo della Luna.
Suggerendo si la
comprensione dei
cicli naturali
da parte del
mago, e quindi
il governo degli
stessi, ma anche
il suo porsi in
controtendenza
rispetto ad
essi. Non
fungendo da
batteria
energetica, non
disperdendo ciò
che deve
rimanere
all’interno ed
impiegato sui
piani superiori
della fisiologia
occulta
dell’uomo.
Lo gnosticismo
profondamente si
è interrogato
sui reali
misteri del
serpente
all’interno del
mito del
Paradiso
terrestre. Dove
il Femminile e
il Maschile,
disubbidendo ad
un imperativo
categorico,
grazie alla
persuasione del
serpente, si
nutrono
dell’albero
della conoscenza
del bene e del
male. Rompendo
quindi una
situazione
statica, e di
asservimento,
dove buono e
conoscenza erano
disgiunti. Al
serpente viene
riconosciuto
valore di Logos
Pneumatico, in
opposizione al
demiurgico
creatore e alla
sua oppressione
cosmica.
Numerosi furono
i gruppi
gnostici che
trassero nome
dal serpente
(«Ofiti» dal
greco "ophis";
«Naasseni»
dall'ebraico
"nahas”).
(I, 30, 7): la
Madre
oltremondana,
Sophia-Prunikos,
che cerca di
contrastare
l'attività
demiurgica del
figlio apostata
Ialdabaoth,
manda il
serpente a
«sedurre Adamo
ed Eva e indurli
a disobbedire al
comando di
Ialdabaoth». Il
piano riesce,
entrambi
mangiano
dell'albero «del
quale Dio [cioè
il Demiurgo]
aveva proibito
loro di
mangiare. Ma
dopo che essi
ebbero mangiato,
conobbero il
potere dell'al
di là e si
allontanarono
dai loro
creatori».
I Perati, altra
comunità
gnostica, hanno
identificato nel
serpente il
Redentore
Universale, il
portatore del
trascendente, e
nel Gesù-Cristo
storico una sua
particolare e
contingente
incarnazione.
egli «divenne un
Frutto della
Conoscenza del
Padre, che
tuttavia "non"
portò rovina a
coloro che ne
mangiarono» (E.
V. 18, 25 s.)
Riporto infine
quest’ultimo
commentario ai
Perati.
Perati (Refut.
V, 16, 9 s.):
«Questo serpente
universale è
anche la Parola
sapiente di Eva.
Questo è il
mistero
dell'Eden:
questo è il
fiume che scorre
dall'Eden….».
Questa
copresenza del
maschile e del
femminile, che
compiono atto di
rivolta, al fine
di ottenere la
conoscenza,
contro il
principio
imperativo e
categorico del
creatore, è
attuato tramite
il potere del
serpente. Nella
sua duplice
veste di
principio
tellurico
atavico, ma
anche di logos
pneumatico.
Ricordando
infine come
Perati, Ofiti e
Naaseni, oltre
ad un lavoro
filosofico,
impegnavano loro
stessi in una
ritualità
“eucaristica”,
su cui non è
questo il luogo
e il tempo di
impegnarsi.
Maschile e
Femminile
L’Uroboros ci
permette di
spendere alcune
rapide
riflessioni
attorno agli
opposti
complementari,
il maschile e il
femminile, che
fondamentale
rilevanza hanno
nell’operatività
esoterica. Come
ben sappiamo il
cerchio
rappresenta in
genere il
femminile,
l’utero cosmico
in cui la
sostanza caotica
prende forma, la
grande
formatrice Binah
dell’albero
sephirotico, la
separazione fra
ciò che è fuori
e ciò che è
dentro. Al
contempo il
serpente, il
drago, è simbolo
fallico e
maschile per
eccellenza. E’
il serpente
dell’antico
testamento che
offre alla donna
il frutto della
conoscenza del
bene e del male.
Genesi 3:1
Il serpente
era la più
astuta di tutte
le bestie
selvatiche fatte
dal Signore Dio.
Egli disse alla
donna: «È vero
che Dio ha
detto: Non
dovete mangiare
di nessun albero
del giardino?».
Genesi 3:2
Rispose la donna
al serpente:
«Dei frutti
degli alberi del
giardino noi
possiamo
mangiare,
Genesi 3:4
Ma il
serpente
disse alla
donna: «Non
morirete
affatto!
Nell'Uroboros,
nel suo segno,
ritroviamo
quindi
indistintamente
il maschile e il
femminile. Il
serpente che si
piega nel
cerchio, e il
cerchio che si
distende nel
serpente. Il
maschile che si
fa femminile,e
il femminile che
si fa maschile.
Essi gli opposti
sono finalmente
complementari,
ma non in una
stasi, non in
una ferma
composizione, ma
bensì nel
crogiuolo di un
movimento, di
una dinamicità,
di un’opera che
trova compimento
dalla
determinazione
di uno spazio
fuori dallo
spazio.
Osserviamo con
attenzione
questo antico
simbolo,
meditiamolo,
poniamolo prima
a raffronto, e
poi a guida, di
ciò che abbiamo
esperito o di
ciò che andremo
ad esperire.
Esso indica una
chiusura
ermetica fra ciò
che è dentro e
ciò che è fuori,
ma indica al
contempo anche
il tutto, in
quanto fuori da
esso non vi è
altro che nulla.
Nulla che però
si materializza
anche al suo
interno. Allora
non possiamo
forse affermare,
con maggior
correttezza, che
il Niente regna
fuori
dall’Uroboros,
mentre la via
per il Nulla è
aperta al suo
interno ?! Nel
momento in cui
il maschile e il
femminile,
questo opposti
complementari,
trovano
coesione,
fusione, in
questo sacro
dinamismo, ecco
la via per cui
l’Ego mondano
trova il proprio
perire, in cui
niente esiste
fuori
dall’Opera, e il
Nulla ci attende
nell’Opera.
Concetti
sicuramente
improbabili
nell’esprimere a
parole, ma
sicuramente
compresi da
coloro che li
hanno esperiti
almeno una volta
nella loro opera
magica, a cui
offro questo
detto ermetico:”
Fa di uomo e
donna un
cerchio; quando
avrai congiunto
testa e coda,
otterrai la
tintura vera. “
Mi si permetta,
senza per questo
dare scandalo,
di affermare che
solamente in
virtù di un’alta
temperatura è
possibile creare
una giusta lega,
dove non vi sia
più distinzione
fra i metalli
che la
compongono. E
niente desta
maggior
meraviglia che
le acque
ardenti, in
quanto nessuno
strumento o
tecnica, potrà
mai sopperire
alla qualità
degli elementi
che devono
essere
utilizzati.
Riflessioni
conclusive
Giunti adesso al
momento delle
riflessioni,
riporto
il motto che
spesso
accompagna
l’Uroboros : En
to Pan .
Nell’Uno il
Tutto, questo il
significato, del
trittico inciso
attorno al
serpente che si
divora la coda,
nutrendosi di se
stesso.
Si noti
però che tale
monito non
rappresenta uno
stato di fatto
che ritroviamo
in natura, in
quanto in natura
non esiste
l’autocannibalismo
il divorare noi
stessi, casomai
l’istinto di
sopravvivenza
porta a divorare
nostri simili
(in alcune
specie animali
successivamente
al rapporto
sessuale), ma
bensì la
stigmatizzazione
di un
comportamento
contro natura,
contro tendenza
rispetto a
quello che
dovrebbe essere
il naturale
ciclo delle cose
tutte:
raffinatori e
fecondatori
all’esterno di
energia. Se
l’ampio ciclo, o
meglio il ciclo
esterno,
uroborico è
l’eterno ritorno
delle stagioni,
degli astri,
della morte e
della vita
quaternaria, il
ciclo interno
uroborico è il
preservamento,
la
dinamizzazione,
e la creazione
di un qualcosa
che in
precedenza non
c’era. Il
lettore attento
che è giunto
fino a questo
punto, non potrà
negare che
nell’atto di cui
si va parlando,
senza troppo
parlarne, coloro
che sono
veramente attori
danno tutto,
prendendo tutto,
al contempo
esaltando la
propria
identità, io
trascendentale,
a discapito di
un io mondano e
psicologico.
Leggiamo nel
Livres des
figures
Hièroglyphiques:”
Questi sono i
due serpenti
avvinghiati al
caduceo di
Mercurio, da cui
egli deriva il
proprio grande
potere e che
assume qualsiasi
forma egli
voglia..Quando i
due serpenti
vengono messi
nella fossa
mortuaria si
mordono l’un
l’altro
crudelmente..
Attraverso la
putrefacio
perdono la loro
precedente forma
naturale per
assumerne una
nuova e più
nobile ...
(N.Flamel)
Nel Mistero
delle Cattedrali
di Fulcanelli
comprendiamo
come Adamo (che
in ebraico
significa anche
terra rossa) è
lo zolfo, mentre
Eva il mercurio.
I serpenti del
caduceo sono “la
natura caustica
e dissolvente
del mercurio”.
In molte
pratiche che ho
condotto ho
potuto
apprezzare i
benefici a fine
operativo di una
circolarizzazione
delle energie e
del pensiero,
che altro non è
che energia
organizzata.
Fissare il
pensiero in un
seme, in un
loghion, e
costringerlo su
di un percorso
circolare,
determina un
divorarsi della
mente, un suo
progressivo
esaurimento, a
beneficio
dell’affioramento
di un nuovo
flusso
intellettuale.
Il quale non
razionale e non
è discorsivo, ma
bensì
immaginifico.
Ecco quindi che
dalla morte del
vecchio, dalla
consunzione di
ciò che è
profano, emerge
qualcosa di
nuovo dalle
nostre
profondità o
elevazioni, che
poi del resto è
cosa identica.
“Azoth è davvero
mia sorella, e
Kribick (zolfo)
veramente mio
fratello.”
Theatrum
chemicum
Britannicum .
Ancora, come
largamente
accennato in
precedenza,
dobbiamo vedere
l’Uroboros
come un mudra di
chiusura
energetica. Dove
nelle operazioni
ad un vaso e
nelle operazioni
a due vasi
niente viene
disperso, ma
tutto viene
compreso
all’interno
dell’Opera,
maggiore o
minore. Compreso
e reso dinamico,
affinchè si
giunga al
sacrificio di
entrambe le
parti al fine di
dare vita al
nuovo. Ambedue
questi
sacrifici, del
maschile e del
femminile,
dell’elemento
fisso e
dell’elemento
volatile,
attraverso la
fissazione delle
acque ardenti
(eros e
thanatos)
permettono il
fluire di un
nuovo tipo di
energia,
altrimenti
occultata,
presente a
livello
potenziale. La
quale può essere
governata ed
indirizzata
all’interno,
come
all’esterno, in
guisa del tipo
di risultato che
si intende
ottenere.
“Osservate bene
questi due
draghi, perché
sono i veri
principi della
filosofia (Gnosis),
che i savi non
hanno potuto
insegnare ai
loro figli.
Quello posto in
basso e privo di
ali è detto
fisso e
permanente, o
uomo. Quello
posto in alto è
il volatile, la
cupa vergine
nera. Il primo
sarà chiamato
zolfo, caldo e
secco. L’altro
verrà chiamato
argento vivo,
freddo e umido…
Quando si sono
uniti e, quindi,
trasformati
nella
quintessenza,
possono vincere
tutte le cose
metalliche
massicce, dure e
resistenti.” (N.Flamel,
Chymische Werke)
Questo serpente
divora se
stesso. Questo
cerchio è
animato. Esso è
indistintamente
maschile e
femminile. E’
meravigliosamente
Altro. E’
dentro, ed è
fuori. E’ caos
ed è ordine. E’
soglia e chiave,
è chiave e
soglia.
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